Raccontiamoci

Vedo il progetto di Imiut come una piccola e delicata barchetta di carta che naviga nell’oceano, ma un oceano gentile che la spinge sempre di più verso l’alto, verso la Luna.

Ognuno di noi è, o è stato, una delle onde che guida la barchetta, solo grazie a chi c’è stato, chi c’è e chi ci sarà Imiut continuerà a navigare verso sogni più grandi.

 


Imiut per me non è soltanto “il mondo in un teatro”, ma quando penso e parlo di questo gruppo capisco di essere in una grande famiglia, dove ci si diverte, ci si impegna, si scherza, si approfondiscono conoscenze ed amicizie.

Imiut è:

I come impossibile, ovvero ciò che tutti noi riusciamo a realizzare 
M come Mauro che ci guida in questa esperienza (e che è un gaggio da paura)
I come individuo perché ognuno di noi è importante!
U come unione che c’è tra noi
T come il tempo che passiamo insieme e che sembra sempre poco…

W Samuel Dossi che ci sopporta e ci insegna!!!

 


 

Dare e ricevere credo che sia una logica commerciale ed è la logica commerciale che mi sembra sia la base del fare teatro in questa compagnia di bravi balenghi: noi raccogliamo un po’ di soldi da mandare in Brasile per risolvere dei problemi che nemmeno immaginiamo. Ma in cambio riceviamo da questa attività delle capacità come controllare il nostro corpo e la nostra voce e riceviamo delle soddisfazioni: quella di non restare mai soli o non indaffarati, quella di strappare un sorriso alle persone e quella di avere qualcosa da raccontare ai nipoti nel 2073.

La suddetta compagnia di bravi balenghi può essere considerata senza problemi un esempio di cosa si deve fare al giorno d’oggi per risolvere i problemi. L’egregio fondatore non aveva niente, solo un sogno, che da sogno è diventato idea, che da idea è diventato progetto e che da progetto è diventato realtà. Questa frase di riassunto non rende il vero merito di quanto è stato fatto: un bellissimo dispiegamento di forze e di capacità che ha poggiato sulla potenza della coesione e di un obiettivo preciso. Non sono parole banali e non voglio che siano parole banali. E’ una cosa che non accade tutti i giorni che un sogno sia realizzato e che funzioni.

Per pensare sogni funzionanti bisogna avere contemporaneamente la testa fra le nuvole e i piedi per terra. E, in effetti, l’egregio fondatore è abbastanza alto da soddisfare il requisito.

 


Quando si deve scrivere di se stessi è sempre difficile, sembra di non avere nulla da dire, allora per scrivere un qualcosa sulla mia esperienza ho deciso di rivedere un po’ il viaggio che ho fatto con Imiut e,  può sembrare banale, ma rivedendo i video degli spettacoli ho come rivissuto quelle esperienze e mi sono commossa.

Quando ho iniziato a far parte del gruppo avevo 13 anni e Imiut a dire il vero non era ancora un gruppo ma un esperimento, un gioco, un gruppetto di allievi a seguito di un professore di Filosofia che ancora non conoscevo. Mi sentivo un po’ spaesata, ma l’idea di fare teatro mi interessava molto (già i due anni precedenti avevo fatto teatro). Questa situazione comunque non è durata a lungo, subito si è creato affiatamento e collaborazione nel gruppo tanto che anche se i componenti con gli anni sono cambiati il gruppo esiste ancora. Anche il nome del gruppo come la sua ideazione è nato per caso mentre cercavamo un qualcosa che potesse comprendere tutto ciò che siamo noi componenti e i nostri progetti. Imiut, il mondo in un teatro, è proprio quel nome che ci serviva, il perfetto riassunto di quello che siamo.Il nostro obbiettivo era quello di parlare di qualcosa che non fosse banale, ma che fosse motivo di riflessione, un pezzo di mondo inscenato per poter riflettere e far riflettere, e da questo nascono poi le opere che abbiamo scelto in questi anni. Ma Imiut è anche quello che siamo noi, il mondo di ogni uno di noi trova un attimo di unione, di fusione con quello degli altri in Imiut, sul palco, dietro le quinte, durante le prove… Imiut è come una famiglia allargata, ed è difficile abbandonarla o tradirla se si crede nei suoi obbiettivi.  Si sono  creati un calore e un’amicizia che sono ineguagliabili, e forse sono proprio questi i segreti del divertimento che si forma nel nostro teatro, che si vede sul palco e che cerchiamo di trasmettere. Imut poi vuol dire anche fiducia e supporto  continuo, nessuno è mai solo, nessuno è mai triste … per me Imiut è un po’ come un piccolo raggio di sole che riporta il sereno nella mia vita anche nei momenti più difficili. Ma Imiut è anche uno scambio di doni mai in perdita, infatti ogni persona che entra a far parte del gruppo dona un po’ di se stessa agli altri ricevendo in cambio quel po’ di tutti gli altri, così si impara a crescere e si scopre il segreto per rubare e a donare sorrisi vicini e lontani, anche oltre l’oceano …

 


Sono capitata nel gruppo per caso nel primo anno in cui il progetto ha avuto inizio. Per caso, come diversi altri che hanno iniziato a orbitare intorno al gruppo di teatro: chi per amicizia, chi perché affascinati dal creare qualcosa di nuovo, chi per passare più tempo insieme e anche chi, perché no, per avere la possibilità di tagliare legittimamente qualche ora di lezione, magari del pomeriggio, che altrimenti non passava mai… Qualunque fosse la motivazione di ciascuno, alla fine abbiamo seguito anche noi quegli amici che avevano avuto più coraggio buttandosi da subito, e sono sicura che nessuno di noi se ne sia pentito e ognuno porti dentro una bella traccia, perché ci siamo proprio divertiti!

Per quanto mi riguarda, ho alcuni ricordi in particolare di quel A Christmas Carol, che mi fanno sempre sorridere. Innanzi tutto adoravo i preparativi: un paio di giorni prima della data dello spettacolo, partivamo carichi di scenografie, scatoloni e attrezzi vari e andavamo a montare tutto il nostro armamentario sul palco e dietro le quinte. Era un’occasione perfetta per noi vecchi amici di sempre di fare un nuovo giro insieme e allo stesso tempo tirare su qualcosa di concreto, che sarebbe poi servito anche agli altri.

E vogliamo parlare dell’atmosfera che regnava, soprattutto al momento di entrare in scena? Pareva di toccare l’eccitazione nell’aria, quel brivido che non permette a nessuno di stare fermo sul posto, ma obbliga a muoversi continuamente. L’ultima ora prima che si spegnessero le luci e calasse il silenzio in sala, era un incessante viavai di ragazzi che correvano su e giù, portando oggetti in mano, vestiti e borse, cercando qualcuno che non si trovava mai… Sembrava quasi un rito per scaricare la tensione!

Poi iniziava lo spettacolo: “All I want for Christmas is you” di Mariah Carey apriva le danze e ci faceva correre dal fondo del teatro fino sul palco, in fila a coppie e con il cappello rosso natalizio, con un batticuore che si faticava a sentire la musica!

Nella rappresentazione che seguiva, io non è che facessi molto rispetto agli altri; entravo al momento di cantare con loro, ma il terrore del palco non mi permetteva di lanciarmi di più. Per me era pazzesco stare dietro le quinte a dare una mano e guardare gli amici sul palco: c’era da morire dal ridere! È sempre bello stupirsi di quello che i tuoi amici riescono a tirare fuori nelle situazioni giuste. Mi vengono in mente Ema alias Ebenezer Scrooge e Bebe alias Fantasmi del Natale Presente e Futuro: loro sì che “ci stavano dentro”, infatti continuano tutt’ora e, cavolo, migliorano ogni volta. Oppure lo sketch in mezzo piemontese di Ceschina e Foxy, che ci lasciava piegati in due dalle risate, sia noi del gruppo sia il pubblico. C’era però un momento specifico che attendevo con ansia: ad un certo punto di una scena doveva intervenire una voce fuori campo con la battuta: “Presto, portate il baule del piccolo Scrooge!”. Bene, la voce era di Arma, che in tutto lo spettacolo doveva dire solo quella frase; il problema è che regolarmente i ragazzi sul palco dimenticavano di fare una pausa per lasciargli dire la battuta e lui non riusciva mai a completare la sua frase! Ricordo che ci guardavamo aspettando il momento X e già ci scappava da ridere, perché sapevamo come sarebbe andata a finire. La situazione ci divertiva da matti.

Ovviamente ci sarebbe una valanga di aneddoti del genere da raccontare su quel primo lavoro, ma quelli li lascio alle serate che passiamo insieme, in cui ritornano attraverso un «Vi ricordate quando…?» di qualcuno, seguito dalle risate degli altri.

Insomma, è stato fantastico per tutti prendere parte al progetto ed è sempre un piacere per chi come me ha lasciato, andare ad assistere agli spettacoli nuovi che Mauro, Ema, Bebe e tutti gli altri continuano a realizzare.

La vera bellezza di tutto ciò sta proprio nella passione che ognuno di loro impiega nel dare il proprio contributo a un progetto come questo, dinamico e in espansione. Quindi amici, vi abbraccio e vi faccio un in bocca al lupo per le future imprese!

 


(un papà)

Perché il gruppo IMIUT attrae anche i genitori? Le ragioni sono tante.

Vorrei iniziare descrivendo questo gruppo: pensandoci bene l’esempio più appropriato è un gran bel mazzo di fiori, pieno di colori e profumi, uno diverso dall’altro.

C’è la rosa, bellissimo fiore da ammirare nella sua armonia di colori e profumi, ma con un gambo spinoso e difficile da sostenere. C’è la margherita, leggera e semplice, con colori e profumi del prato. Il tulipano, alto ed esile, con i petali leggeri. Il garofano, fiore riccioluto e bizzarro, ma con un forte profumo e grande resistenza. I gigli, lunghi, esili e fascinosi, ma delicati. L’insieme delle diversità del mazzo di fiori rappresenta la nostra forza, la nostra speranza. Presi da soli disperdiamo le nostre capacità, siamo esili e deboli. Solo insieme possiamo fare grandi cose.

Certo non è un gruppo di teatro che fa la differenza, che può cambiare il mondo. Ma questo sogno ha toccato un nervo scoperto della gente comune, che è il desiderio di rinascita dei valori sociali, di comunicazione, di amicizia e collaborazione. Tutti sappiamo che qui il denaro delle offerte ha un solo scopo: aiutare i più deboli. Questo aiuto però è anche un insegnamento e tanta soddisfazione per tutti, genitori compresi.

Tutto questo è nato in una splendida scuola salesiana, dove sono gli eredi di Don Bosco a educare i nostri ragazzi. I loro insegnanti diventano quasi dei compagni di scuola più grandi. Dove troviamo allievi che, finito il liceo, continuano a vedersi per stare insieme oppure per fare teatro come nel nostro gruppo degli “over venti”?

Lo stare insieme vuole dire confrontarsi, confluire nella forza dell’amicizia, supportare la formazione delle menti, la collaborazione per fini costruttivi. Non possiamo sapere se questi valori resteranno nei nostri giovani, non possiamo sapere se questi ricordi di emozioni vissute insieme saranno un insegnamento per chi verrà, non possiamo sapere se anche loro saranno insegnanti e distribuiranno questi semi di passione ai futuri ragazzi. Quello che sappiamo è che ora i nostri figli stanno bene insieme, lavorano insieme per un obiettivo comune.

Noi come genitori ci auguriamo che questa compagnia teatrale continui il suo percorso, faccia crescere nei ragazzi ancora più forza e intraprendenza, tutta quella che serve per un futuro. Un futuro che è nelle loro mani, che spero riescano a migliorare. Sicuramente anche per noi genitori dei ragazzi di Imiut le cose stanno cambiando, anche noi ci sentiamo come loro e con loro uniti nel lavorare insieme.

 


(una mamma)

L’incontro con Imiut? Lo ricordo ancora benissimo, un pomeriggio a scuola… quando ancora il gruppo non si chiamava così, anzi non aveva neppure un nome. Ero ai colloqui con i genitori. Entro dal prof. di Storia di mia figlia, ignara di quello che di lì a poco sarebbe successo stringendo la mano del prof. Mauro Borra.

«Buona sera, come va mia figlia? » gli chiesi.

«Bene, bene» rispose con il sorriso. «Sa, abbiamo pensato di fare un corso di teatro, qui a scuola, tutto creato dai ragazzi: musiche, sceneggiatura, coreografie. Magari riuscissi a trovare qualche genitore che mi dia una mano, per gestire i ragazzi…».

Lo guardai bene, aveva un tale entusiasmo negli occhi e nella voce nel raccontarmi il suo progetto, che, senza neanche pensarci un momento, gli dissi:

«Se ha bisogno posso darle una mano, mi dica cosa posso fare».

Detto fatto, nell’arco di pochi minuti mi sono trovata immersa in un mondo nuovo: costumi, copioni, scenografie da inventare, ragazzi da tutte le parti, serate a mangiare tutti insieme e poi provare fino a tardi.

Sarà proprio in una di queste sere che Mauro mi dirà: «Perché non diventiamo un’associazione?».

Subito gli dico incoscientemente di si. Ed ecco che a Marzo 2011 anche quel sogno è diventato realtà.

Da quel pomeriggio sono passati alcuni anni, di cose ne sono state fatte tante, il gruppo è cresciuto e anche altri genitori si sono lasciati travolgere dall’entusiasmo che anima questo progetto. Con Imiut ho avuto la fortuna di incontrare tante persone meravigliose, ricche di sentimento, con tanta voglia di mettersi in gioco per aiutare gli altri, di stare insieme e condividere un sogno, cominciato dai ragazzi e trasmesso anche a noi genitori.

L’incontro con Veronica che vive con i bambini di strada in Brasile, i suoi racconti, le sue testimonianze di vita quotidiana con tutta la sua drammaticità, mi ha ulteriormente motivato a tal punto che ho coinvolto tutta la mia famiglia, creando al suo interno più unione e complicità.

Devo davvero ringraziare Imiut per quello che mi ha dato, mi da e darà in futuro, perché sono sicura che riusciremo a fare ancora tante buone cose. Ricordo che una sera eravamo un po’ demoralizzati perché le cose non sembravano andare per il verso giusto. Qualcuno ha detto: «Sono sicuro di essere nel giusto, quindi vado avanti».

Con questo spirito dunque andiamo avanti, consapevoli che abbiamo tanti obiettivi da raggiungere. Chiunque ci voglia aiutare è il benvenuto.

 


Imiut è un percorso di vita composto da tante luci. Mi piace chiamare così tutte le persone che hanno contribuito a portare avanti il nostro progetto, dedicando ogni momento a disposizione per coltivare insieme il seme della speranza. Unendo le nostre forze abbiamo percorso tanta strada e realizzato sogni insperati. Quest’associazione coglie gli aspetti positivi della vita e li trasforma in forza, motivazione, che cerchiamo di tramutare in aiuti concreti verso chi è meno fortunato di noi. Imiut è un gruppo, una grande famiglia o semplicemente una strada interminabile piena di luci, che progetto dopo progetto, continueranno ad illuminare ed impreziosire il nostro intento più grande: dare una speranza di vita.

 


Il teatro è un’arte che aiuta ad esprimere le diverse sfaccettature della personalità che ciascuno di noi nasconde.

Recitare è terapeutico, perché ogni personaggio che s’interpreta aiuta a sbottonarci, ad essere meno rigidi con noi stessi; anzi a volte ci rende più sicuri.

Quando si è sul palco, tutti i pensieri e le preoccupazioni svaniscono; in quel momento possiamo permetterci il lusso di uscire per qualche minuto dalla nostra vita reale per catapultarci in un mondo di fantasia e finzione, dove si cerca di vivere la vita di un’altra persona.

Consiglio a tutti quest’esperienza, mettetevi in gioco!!!

 


 

Accettai con entusiasmo la proposta di Mauro quando, uscendo da scuola, mi disse: «Allora sabato pomeriggio andiamo a fare gli artisti di strada per Imiut a Torino?».

Quando sono in giro, soprattutto all’estero, amo sempre fermarmi ad ascoltare ed ammirare coloro che regalano ai passanti magiche esibizioni artistiche di ogni genere… Ora si trattava di compiere il salto da spettatrice a protagonista: l’idea mi allettava molto!

Quando mi sono trovata a dover suonare lì, a due passi da chi ci stava ascoltando, beh…un po’ di timore indubbiamente l’ho avuto, ma poi, rotto il ghiaccio, ho vissuto dei momenti magici ed indimenticabili. Quante foto ci hanno fatto! Quanti complimenti per il nostro impegno sociale! E, lo dico con orgoglio, anche per la bravura di tutti!

Fino ad oggi abbiamo ripetuto questa esperienza tre volte… e in ogni occasione l’emozione è stata diversa, ma sempre grande!

Solitamente intervalliamo i momenti di musica a quelli di recitazione, in modo da lasciare spazio a tutti i componenti del gruppo Imiut.

Osservare gente di ogni età interessata a vedere e sentire ciò che si sta proponendo, che si ferma a leggere la finalità della nostra attività e lascia un proprio contributo, piccolo o grande che sia, salutandoti con un «Grazie di cuore!», è qualcosa di indescrivibile!

Inoltre si potenzia la capacità di comunicare senza la parola: basta uno sguardo che brilla di gratitudine, un sorriso, un cenno per abbattere il muro della diffidenza.

Gli ingredienti da miscelare per ripetere ancora questa esperienza non sono molti:

– voglia di trascorrere un pomeriggio insieme alla grande famiglia di Imiut

– scelta di una “postazione strategica”

– e… tanta energia in modo tale che la nostra arte di strada faccia da tramite tra… i passanti e i fratelli del Brasile!

 


  

Spesso mi sento chiedere: «Cos’è Imiut? ». Bella domanda, cos’è Imiut? Sicuramente è un mondo tutto particolare, quasi un’isola felice. Credo che la parola che meglio esprima Imiut sia “complicità”. Imiut è nato dalla complicità di persone che hanno creduto nel sogno trasmessoci da Mauro. Sul palco la complicità è fondamentale e implica l’essere amici ed il conoscersi bene. Complicità è anche dietro le quinte, dove le voci che si sentono sono: «Qualcuno a visto il mio cappello?… Dov’è il mio vestito?… Chi si deve ancora far truccare?… è pronto, si mangia!».

Oltre a questa complicità, che si può dire pratica, c’è anche quella che definirei “supporto”; prima di salire sul palco tutti fanno coraggio a tutti, ci si “carica” uno con l’altro e il segreto di questa energia si chiama fiducia. Fiducia che non è solo necessità teatrale, ma è complicità anche al di fuori degli spettacoli. Per questo mi piace pensare a Imiut come “spirito di famiglia”. Tra noi membri del gruppo c’è un legame forte, ogni occasione è buona per far festa, per ritrovarsi, per stare in compagnia come amici e non solo come attori.

Come in tutte le famiglie abbiamo il “gruppo mamme”, invidiato da molti per la fantastica cucina e tanto ben organizzato che ha persino un fornetto portatile. Abbiamo il “gruppo papà”, esperti tutto fare e ottimi montatori di scenografie. Poi ci sono i “figli”, il gruppo dei più “piccoli” e quello dei più “grandi”. Insomma, una famiglia di tutto rispetto.

La complicità è anche fuori dal gruppo, Imiut infatti esiste anche grazie alla collaborazione di tutte le persone che ci seguono e fanno il tifo per noi dal pubblico. Ogni volta è davvero gratificante il sorriso di queste persone. Complicità è poi con i Comuni, gli oratori, le parrocchie, le Proloco, le Associazioni che ci danno la loro disponibilità e ci accolgono con il loro affetto.

Complicità è quella che abbiamo con Veronica. I suoi racconti dal Brasile colpiscono, non si possono ignorare. Ti fanno dire: «Cavolo di cosa mi lamento? Ho una famiglia, ho gli amici, ho una casa, ho tutto. Anzi forse troppo. È per questo che non mi diverto più».

E in questo Imiut aiuta a divertirsi con poco, ad imparare che non c’è bisogno di tante cose per essere felici. Spesso nei nostri tour siamo accampati, non abbiamo le comodità di casa. Ma la felicità che proviamo ci viene da dentro, da quel sentimento che ci lega, da quell’obiettivo comune di fare qualcosa di bene.

Imiut per me è principalmente questo: un sentimento che, come tutti i sentimenti, è difficile descrivere. Bisogna provarlo. Una volta provato non si dimentica, anche se non si recita più.

Imiut è anche un sogno che coinvolge tutti quelli che credono nei sogni e sono pronti a mettersi in gioco per realizzare quelli di bambini dimenticati. I “nostri bambini” brasiliani hanno un sogno che più che sogno è un diritto: quello di avere amore, fiducia e complicità. Per questo continuiamo a lavorare.

 


Un giorno di Maggio (2011) ero seduto ad un tavolino di un bar con cinque amici. Amici che non vedo tutti i mesi e che, di conseguenza, non hanno la fortuna/sfortuna di conoscere in presa diretta quello che succede nella mia vita.

Basta un «Come va?» per trasformare magicamente in parole mesi di lontananza, di esperienze e di vita. È in quell’occasione che F., seduta di fronte a me, mi aveva espresso un suo desiderio. Non vedeva l’ora di terminare alcuni impegni, presi mesi addietro, per poter soddisfare un bisogno che nel frattempo era nato nel suo cuore.

Avevo di fronte a me una ragazza di ventiquattro anni che sentiva la necessità di dedicarsi a qualche azione, progetto o esperienza che le regalasse la certezza di sentirsi utile per gli altri. Mentre io rimanevo affascinato da tutte le sue emozioni e dal suo entusiasmo, lei mi chiedeva se anch’io non avessi aspirazioni di questo tipo. Iniziai, senza quasi accorgermene, a raccontarle del gruppo di teatro, di professori visionari, di amici e copioni, dei dietro le quinte, del Brasile di Veronica e Padre Maurilio. E mentre lei, meravigliata, mi sommergeva di domande e curiosità, mi rendevo conto che quel sogno piccolo piccolo era diventato una solida realtà. E io ne facevo parte.

 


 

Tiago è un ragazzo brasiliano che nel 2008 è ospite di una famiglia di Cumiana tramite l’associazione “Intercultura”. Non viene nella nostra scuola, ma siccome è ospite di un mio allievo, gli chiedo di partecipare con noi al corso di teatro. Un ragazzo davvero straordinario, con mille risorse, educato, gentile e riconoscente. Ha partecipato allo spettacolo “ Un affare chiamato amore”. Ha voluto scriverci quando ha saputo del libro.

La mia esperienza con il gruppo Imiut è stata davvero incredibile. Fare il teatro insieme al gruppo è stato parte importante delle mie giornate in Italia; vado molto fiero di aver partecipato a questo gruppo.

Dopo più di tre anni mi ricordo bene tutto, dalla prima prova fino all’ultimo spettacolo. É stato un piacere enorme fare quest’esperienza, sapendo anche che avrei aiutato il mio Paese con i soldi che sarebbero stati destinati ad un’associazione a favore dei bambini di strada brasiliani.

In mezzo al gruppo devo dire che sentivo qualcosa di speciale, forse accresciuta dal fatto di essere brasiliano e poter contribuire in maniera speciale al copione, che raccontava una storia ambientata in Brasile. Ma c’era anche un’ammirazione mia, tutta particolare, per il gruppo che eravamo, composto da personalità diverse tra loro che avevano tanta voglia di stare insieme nella gioia. Sicuramente è stata una grande emozione per me portare un po’ del Brasile al gruppo, non quello dello stereotipo, ma un Brasile diverso: oltre la samba, il calcio e le belle ragazze.

Fare il teatro è stato divertente. Martedì sera. Ora delle prove. Mi ricordo bene, era un momento molto particolare della settimana. Era un momento di scherzi e risate, ma anche un momento di dedizione e impegno per svolgere un bello spettacolo, come si è verificato poi nella presentazione al pubblico. L’impegno e la passione da parte di tutti i partecipanti al teatro, sono stati fondamentali per il successo dello spettacolo.

Penso spesso al gruppo e ho molta “saudades” (nostalgia) di tutti quanti, con i quali ho fatto amicizie che, nonostante il tempo e la distanza, non dimenticherò mai.

Ringrazio Mauro, per l’invito che mi fece a diventare parte del gruppo di teatro, e Valentino (mio fratello italiano) senza il quale non avrei potuto partecipare al corso e agli spettacoli.

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